Poche storie mi hanno colpito e coinvolto come quella di Lara Lago.
Forza ispiratrice nel panorama del giornalismo e dell’attivismo per la body positivity, Lara ha iniziato la sua carriera in tv locali, navigando attraverso mondi diversi, dall’Italia all’Albania, fino ad approdare ad Amsterdam, dove ha trovato una nuova prospettiva – non solo sulla professione ma anche su se stessa. Autrice di “Il peso in avanti”, Lara racconta con coraggio come vivere all’estero abbia cambiato il modo in cui vede il proprio corpo, condividendo con autenticità la grassofobia che si respira in Italia e offrendo una riflessione profonda sulla bellezza della diversità dei corpi. Oggi lavora a Sky, nel settore dei video digitali, mentre continua, sia sui social che nella vita reale, a sfidare gli stereotipi e a ispirare gli altri con il suo messaggio di inclusività e body positivity.
Oggi, Lara ci parlerà della grassofobia nel settore cosmetico, condividendo la sua visione su come anche il settore cosmetico non sia esente da stereotipi e canoni di bellezza che non valorizzano le diversità.
Per iniziare, puoi parlarci della tua lotta contro la grassofobia e del tuo attivismo sia nella vita quotidiana che sui social media?
Sono sempre stata una ragazza grassa, ma fino ai 27 anni non l’ho mai accettato. Quindi ero una ragazza grassa che faceva di tutto per non esserlo: diete estenuanti mangiando carciofi a colazione, o una mela per pranzo ai tempi dell’università. La mia prima dieta la ricordo negli anni dell’adolescenza, quando le icone di riferimento erano Britney Spears e Christina Aguilera. Anche io volevo i pantaloni con la vita bassa come li indossavano loro. Ma io non avevo la pancia piatta, e non ce l’avrei mai avuta piatta neanche dopo aver perso 14 chili in due mesi. Ero sbagliata io? Per anni ho pensato di sì, posticipando le cose che avrei voluto fare fino al momento in cui sarei stata finalmente magra. Nei negozi acquistavo jeans che mi stavano stretti “così ho l’incentivo a perdere peso”, “la frangia me la posso fare solo se dimagrisco perché così ho il viso troppo tondo” e così via. Ancora non lo sapevo ma mi ero costruita una prigione che non era nemmeno mia, ma di tutte le donne della mia età. Erano gli standard patriarcali irraggiungibili di magrezza e bellezza come dovere sociale. Standard che oggi non sono affatto passati di moda, anzi si evolvono in continuazione permettendoti ovviamente di non raggiungerli mai. E’ un modo pratico per tenere i corpi sotto controllo e sotto scacco.
Ad un certo punto della mia vita, nel 2016, arrivo per lavoro a vivere ad Amsterdam e qua incontro il mondo dell’attivismo per la liberazione dei corpi molto vivace nel nord Europa. Io non mi considero un’attivista ma piuttosto una divulgatrice ma ad Amsterdam per la prima volta aderisco ad un flashmob che ribalta completamente la mia prospettiva sul mio corpo e anche sul come ho iniziato a percepire i corpi altrui. Una fotografa tedesca, Silvana Denker, aveva portato la sua iniziativa chiamata “Body Love” nella piazza principale di Amsterdam: in 8 donne con corpi non conformi ci siamo spogliate e abbiamo mostrato la nostra pancia dove c’erano scritte le lettere che andavano a comporre la parola “Body Love”. Là, oltre al freddo (dicembre in Olanda in mutande in piazza ve lo raccomando) ho provato anche una fortissima sorellanza, riappropriazione, un senso di cambiamento misto ad un senso di nuovo inizio e un sentimento fortissimo di libertà e liberazione. Ho iniziato a studiare che cosa fosse la lotta contro la grassofobia e non ho più smesso.
Essere una persona grassa in una società corpocentrica è molto difficile perché la non accettazione dei corpi non conformi sembra essere una barriera saldissima da scardinare. Nella vita quotidiana cerco di fregarmene degli stereotipi, mi piace vestirmi non per coprirmi, provo a vivere il mio corpo grasso con gioia, senza più limitazioni. Ma se anche tu in prima persona ti impegni in questo tutti i giorni, ci pensa comunque la società o i vari stadi di discriminazione grassofobica (grassofobia medica, non trovare vestiti nei negozi, vedersi rappresentate nei media solo attraverso appunto stereotipi) a farti sentire i confini di quanto il tuo corpo non venga accettato.
I social servono a questo, a mostrare che si può, e a mostrare anche le contraddizioni di un certo tipo di giornalismo pensato per un pubblico femminile che non fa altro che giudicare e mettere le esteriorità in contrapposizione, tra ageismo ed eleganza.
Spesso sentiamo parlare di grassofobia nel settore della moda. Qual è la situazione nel settore cosmetico? Quali sono le tue osservazioni in merito?
I corpi grassi non ci sono mai, se un brand deve veicolare un’immagine di bellezza, accattivante per il proprio pubblico, sceglie una rappresentazione di un viso sexy, più vicino possibile allo standard di bellezza. E guardacaso, a parte nel caso della modella americana Ashley Graham scelta come testimonial da Revlon, anche nel settore cosmetico non vengono scelte modelle grasse, e sì che la bocca ce l’hanno anche loro per i rossetti, e pure le guance per il blush o gli occhi per l’eyeliner. La cosa che osservo è che appena un brand ha il coraggio di investire nella rappresentazione di tutt*, e penso a voi di Le Bubè come anche a Fenty Beauty di Rihanna, allora è più facile sentirsi inclus*, valorizzat*. Non esistono visi giusti o meno per il make up, né per la forma, né per il genere, né per la shade di pelle. Il settore cosmetico ogni tanto se lo dovrebbe ricordare.
Nel mondo della skincare, frasi come “Contrastano gli inestetismi della cellulite”, “Aiuta a ridurre visibilmente l’aspetto della pelle a buccia d’arancia” e “Scolpisce e rassoda le zone più problematiche del corpo” sono (purtroppo) ancora molto diffuse nella comunicazione dei brand. Quali emozioni pensi che queste frasi vogliano suscitare e quali sono le tue riflessioni a riguardo?
A me piace molto la skincare, la adoro. Prendermi cura della mia pelle, idratarla, passare la mano dopo che ho messo un siero un’ora prima e sentire che è più morbida. Trovo che sia una coccola. Vivrei senza skincare? Assolutamente sì. Penso che mi renda più bella? Non necessariamente. Ammetto che spesso non vedo alcuna differenza dal punto di vista estetico, ma non è la ragione per cui lo faccio. Mi ha molto colpito una frase che mi disse una persona tempo fa in merito alle mie (discutibili?) scelte di beauty, ad esempio i capelli blu, i brillantini sui denti, i piercing in faccia e la frangia corta corta anche se ho un viso tondo e una 52 di taglia. Mi disse: “ma perché fai di tutto per imbruttirti?”. La domanda mi colse alla sprovvista e non risposi. Ma la risposta che darei oggi è che finalmente per me essere la versione più bella di me non è più un mio obiettivo o il mio unico obiettivo. E lo dico con un certo orgoglio, visto che a 20 anni se tu mi avessi chiesto cosa avrei voluto diventare da grande ti avrei risposto “bellissima”. E quindi la frase di un ragazzo che a 24 anni vedendomi molto dimagrita mi disse “Ma quanto bella vuoi diventare?”, mi rese felicissima.
Ma oggi, a 40 anni, voglio solo diventare quella che sono, assomigliare sempre più all’idea di autenticità e unicità che ho in testa.
In questo scenario, se ribalto così la prospettiva, non mi interessa più se ho la cellulite o meno, se ho la pelle a buccia d’arancia o di tutto il cestino della frutta. Non ci sono zone “problematiche” del corpo. C’è solo il mio corpo, la mia pelle ed è valida in ogni caso, a prescindere dalle mie scelte legate al capitalismo dei corpi.
Cosa rappresenta per te il makeup? Essere truccata o meno influisce sulla tua sicurezza di sé? Questa domanda nasce da una articolo che ho letto che raccontava la testimonianza di una ragazza grassa che diceva che quando usciva di casa truccata subiva meno insulti e discriminazioni perché dava l’apparenza di “tenerci di più” al suo aspetto.
Quando indossi un corpo grasso e conosci la discriminazione come le tue tasche ci sono tutta una serie di “compensazioni” che sono niente altro che strategie di sopravvivenza anche per la nostra povera salute mentale. Una di queste è l’iper femminilizzazione. Che fa più o meno così: “Sono una donna grassa? Ok, ma guardami sono anche sempre perfettamente truccata, con i capelli perfetti, mi vesto comunque carina, sono sexy.” E’ un modo per dichiararsi implicitamente meno “non conformi”, più aderenti all’immagine femminile che ci si aspetterebbe. E’ più facile occupare lo spazio sociale in questo modo? Per me lo è stato. Specie se devi affrontare luoghi sessisti, ad esempio per lavoro. Personalmente sono colpevole di iper femminilizzazione, a volte è stata la mia unica corazza per non essere presa di mira. Adoro il make up anche se lo slego a concetti di performatività ma il trucco mi aiuta un sacco a mettere una corazza, a sentirmi più sicura. Quando vivevo all’estero avevo quasi smesso di truccarmi, non mi serviva più, la mia voce valeva uguale. A Milano, dove vivo ora, mi sto truccando tantissimo. Un po' perché mi piace giocare con i colori, sperimentare, un po' perché, specie se sono l’unica donna grassa della stanza, e spesso l’unica donna della stanza, mi aiuta a sentirmi più sicura, autorevole, come a mettere un ostacolo in più in caso volessero colpirmi. Non dò loro alcun appiglio estetico. Impeccabile, anche se sono grassa. E’ una realtà triste? Sì, moltissimo.
Cos’è per te la bellezza?
Diventare ostinatamente ciò che sei. E cercare più serenità possibile mentre lo diventi.
Quale messaggio vorresti dare a chi non si sente rappresentatƏ dagli attuali standard di bellezza?
Di non lasciarsi contaminare dalla non rappresentazione. Ed è difficile perché non vedersi mai mai in nessuna pubblicità, in nessun conduttore di telegiornale, in nessuna presentatrice televisiva italiana (no, Antonella Clerici non è grassa), in nessuno spot che non sia finalizzato al dimagrimento, è frustrante, ti fa sentire che non esisti, e se esisti meglio non ti si veda in giro. E invece la non conformità esiste eccome, ed è la cosa più naturale del mondo. Il mio consiglio è di non appiattirsi, di non cambiarsi, di razionalizzare che non serve a nulla essere tutte uguali. Perseverate nella vostra identità e unicità. Anche perché a cercare di assomigliare ad uno standard spesso si rischia di perdere chi siamo.
Come vedi il futuro della beauty industry in termini di inclusività e rappresentazione? Quali cambiamenti speri di vedere?
Spero di vedere sempre più diversità, anche se sembra essere stata una moda passeggera, un trend che è già passato. Ma noi non possiamo essere una moda. Siamo individui e meritiamo rispetto, dignità, cura e se vogliamo bellezza, come ogni altro individuo.
Bravissime Vicky e Lara!